UN’ECLATANTE
PRETESA AL TRONO DI BISANZIO:
IL CASO DE CURTIS
di Giovanni
Grimaldi
PREMESSA
Egregi signori, lo scopo di questa relazione, che per sua natura non può ovviamente essere completa ed esaustiva, verte sul tentativo, da parte del sottoscritto, di cercare di comprendere se il celebre attore Antonio De Curtis, in arte Totò, fosse davvero il diretto discendente di una dinastia di imperatori di Bisanzio.
Il mio interesse verso questo argomento nasce in origine dal grande affetto e dalla profonda ammirazione che mi lega verso Totò. Affetto ed ammirazione per la persona che egli è stato in vita, sia per la sua grande umanità e la sincera sensibilità, sia per la comicità e l’arte che ha saputo egli esprimere nel suo lavoro.
Essendo napoletano, poi, credo di sentire più profonda, poi, una sorta di legame con quest’uomo che ormai è una maschera non solo di Napoli, ma dell’Italia intera.
Nei miei studi su questa persona, dunque, ho man mano approfondito un lato che mi è sempre sembrato poco noto e poco discusso: la sua genealogia.
Il fine ultimo di questa mia ricerca era quello di cercare comprendere se essa dimostrasse realmente la tanto proclamata e famosa sua discendenza dagli Imperatori Focas di Bisanzio.
Nel proseguire i miei studi ho compreso però quella che a mio avviso era la realtà dei fatti e da tali studi nasce questa mia relazione.
In realtà, però, prima di iniziare a scrivere questa mia relazione sul caso De Curtis, da presentare poi a questo importante convegno, debbo confessare che ho avuto una certa perplessità ed un senso di disagio. Cercare di dimostrare che Totò in realtà non era mai stato il “Principe” che tutti avevano creduto e ritenuto mi sembrava come di fargli uno sgarbo, un’inutile e sgradevole offesa alla memoria. Alla fine, però, proprio rileggendo una delle sue più celebri poesie, ‘A Livella, ho compreso che per Totò, dall’altro mondo, questi problemi sono ormai solo frivolezze senza importanza.
A questo punto, dunque, fatta questa premessa, possiamo iniziare a trattare l’argomento su cui si basa questa relazione.
NOTE BIOGRAFICHE
Antonio De Curtis nacque a Napoli, nel quartiere Stella, il
15/02/1898, registrato allo Stato Civile come Antonio Clemente, figlio di Anna
Clemente, nubile, e di padre ignoto. Un figlio illegittimo, quindi.
Questa illegittimità pesò su di lui tutta la vita, come un
marchio a fuoco del quale cercò sempre di liberarsi. Ma in che modo? Attraverso
il riconoscimento, la legittimazione.
Nacque così insomma il suo fortissimo desiderio di essere
riconosciuto, di diventare un figlio legittimo. Il desiderio quindi del cognome
del padre, della “ricerca della famiglia, degli avi”.
Eppure fu soltanto vari anni dopo, nel 1921, che Antonio
Clemente venne legittimato dal padre naturale, Giuseppe De Curtis, che sposò
finalmente la madre Anna Clemente. Antonio Clemente divenne così, finalmente, Antonio
De Curtis.
Il suo desiderio di avere un padre, di diventare figlio
legittimato, era stato dunque finalmente appagato.
Ma forse questo non bastava ancora, Totò voleva di più.
In famiglia si diceva che essi appartenevano ad una nobile
casata che aveva un titolo nobiliare, erano Marchesi, ma Totò, che non poté
farsi riconoscere tale titolo, decise di farsi adottare nel 1933 dal Marchese
Francesco Gagliardi, in cambio di un vitalizio.
Ma nemmeno questo bastava ancora. Totò voleva sapere dei
suoi avi, di chi erano, della nobiltà della sua casata.
Rivolgendosi ad araldisti e genealogisti professionisti
commissionò studi e ricerche sulla sua ascendenza, e tali studiosi compirono
queste ricerche fino a ritenere che egli fosse discendente addirittura dagli Imperatori
di Bisanzio.
Fu insomma un connubio fra l’aspirazione di Antonio
De Curtis alla “ricerca della sua famiglia, dei suoi avi” d il suo desiderio di
“nobiltà”, di legittimazione ed ascesa sociale, unito all’interesse di
ricercatori ad appagare questo suo desiderio con le loro “ricerche”, che fu la
base di quello che poi divenne uno dei più celebri casi di “riscoperta” di
nobiltà.
Fu così quindi che riuscì
ad ottenere, con la sentenza del tribunale di Napoli del 18/07/1945 (a seguito
anche di un primo parere il 06/05/1941 con decreto Ministeriale), dove fu
finalmente “riconosciuto” discendente dagli Imperatori di Bisanzio, assumendo
il nome di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito
Gagliardi De Curtis di Bisanzio (rettificato all'anagrafe con sentenza del
Trib. Civ. di Napoli il 21 maggio 1950, N. 7462 vol. 610, mod. 5).
Ma aveva davvero diritto a questi titoli? Era davvero
questa la sua ascendenza?
Cerchiamo di capirlo.
I DE CURTIS DI SOMMA
Secondo la proclamata genealogia della famiglia De Curtis,
come affermava lo stesso Totò, la loro ascendenza sarebbe arrivava addirittura
fino al 362 a.C.
Una genealogia impressionante, quindi. Circa duemila e
trecento anni. Calcolando una media di una generazione ogni trenta anni circa
(come di solito è in realtà) si potrebbe dedurre che la genealogia della casata
abbia addirittura circa settantasei/novanta generazioni. Dal “Libro dei Guinnes
dei primati” la genealogia più antica del mondo dovrebbe essere quella di
Confucio (VIII sec. a.C.), ma sembra poco attendibile, o meglio ancora sarebbe
quella della famiglia imperiale giapponese, che dovrebbe avere duemila anni
circa di storia e genealogia.
Ad ogni modo in Europa non esisterebbe nessuna genealogia,
nemmeno di casate reali, così antica.
Ma è possibile che proprio la famiglia di Totò fosse così
antica e nobile?
Nel corso delle ricerche storiche e genealogiche, portate
avanti sulla famiglia De Curtis, Totò entrò in contatto con la famiglia dei
Marchesi De Curtis, originari di Somma Vesuviana (NA).
Riuscì così a stringere rapporti con il loro discendente
dell’epoca, il marchese Gaspare, che collaborò con Totò al fine di dimostrare
l’esistenza di una parentela genealogica fra loro, parentela, che, riflettendo,
avrebbe giovato ad entrambi.
Totò, infatti, venne così “riconosciuto” come parente dalla
casata marchionale dei De Curtis, mentre Gaspare poté fregiarsi di essere
parente di un attore tanto celebre quanto amato dal pubblico.
Ma chi erano dunque questi Marchesi De Curtis? E che
rapporti genealogici avevano con Totò?
La famiglia De Curtis era fiorita nel secolo XVII a
Somma Vesuviana e discendeva dal Barone Luca Antonio, che a suo tempo acquistò
il castello locale, dove vennero poi
custoditi i documenti che in seguito Totò poté esibire come prove nelle sue
cause di riconoscimento.
Un diretto discendente del citato Luca Antonio,
Michele (+ 1756), con Sovrano Privilegio del 30 dicembre 1733, ottenne il
titolo di Marchese.
Come risulta poi dai Manoscritti di Livio Serra,
conservati nell’Archivio di Napoli (vol. V, pag. 1636) da costui discesero, in
linea discendente retta, ereditando il titolo marchionale, Gaspare (1719-1799),
Camillo (1758-1840), Pasquale (1807-1892), Camillo (* 1842) e Gaspare (*1887),
che fu il “cugino” con cui Totò strinse rapporti.
Da questo primo dato, però, e consultando i
manoscritti citati risulta una prima e strana rivelazione: Antonio De Curtis
non era il discendente diretto dei Marchesi De Curtis.
Da quello che risulta egli sembrava discendere da un
ramo collaterale, attraverso una non chiara discendenza. Ma chiariremo meglio
in seguito questo punto.
Ad ogni modo sembra però che il vero capostipite dei
Marchesi De Curtis venne però identificato in un antico avo di nome Angelo
Griffo, antenato del citato Luca Antonio.
Fu proprio questo Angelo Griffo, secondo quanto sostenuto
dalle ricerche di Totò, che per primo assunse il nome De Curtis.
Secondo tale versione, dunque, i De Curtis altro non erano
che un ramo del casato Griffo che nel sec. XVI aveva cambiato cognome a causa
di questo antenato.
Ma chi erano, dobbiamo domandarci a questo punto, i nobili
Griffo ritenuti la famiglia originaria dei De Curtis?
I GRIFFO
Totò, in varie interviste rilasciate negli anni, affermava
che egli discendeva dalla famiglia imperiale dei Focas (o Foca). Affermava,
cioè, di discendere in linea retta dalla famiglia dell’Imperatore Barda Focas
che regnò dal 963 al 969 (e che in realtà si chiamava Niceforo II Foca).
Ovviamente attraverso la casata dei Griffo, ritenuta, come
abbiamo visto, un ramo dei Focas.
Ma in che modo i Griffo, a suo avviso, discendevano dai
Focas?
In realtà i Griffo erano una famiglia patrizia napoletana
molto antica e nota (attestata fina dal sec. XII), che aveva anche un proprio
seggio nella città.
Studiosi del ‘500 e ‘600 ipotizzarono però che essi
avessero una comune ascendenza con i Grifeo di Sicilia e che, come anche
costoro ritenevano, discendessero entrambi dai Focas, attraverso un loro ramo
che sembra assunse il nome “Grifeo”.
Ma in che modo i Griffeo ed i Grifeo discendevano dai
Focas?
Come ricorda la tradizione il capostipite dei Griffo era
ritenuto Leone Foca, figlio di Barda Foca II, che vinse nel 970 in battaglia il
capo dei Bulgari, che aveva come nome Grifeo.
Per tale motivo Leone sostituì il suo cognome di Foca ed
adottò per se e per i suoi discendenti successori il cognome e lo stemma di
Grifeo.
Leone sposò poi Costantina figlia di Alessandro, Imperatore
di Costantinopoli.
Secondo il citato studioso Planeta Barda III e Grifeo I,
figlio di Leone, fu acclamato Imperatore d'Oriente nel 976, Niceforo Grifeo
figlio di Leone Grifeo fu acclamato Imperatore in Cesarea di Cappadocia nel
979.
Ma in che modo, secondo questa tradizione, i Grifeo si
trasferirono nel Meridione d’Italia?
Secondo Mugnos
(lib. III) Auripione figlio di Leone Grifeo e di Costantina, figlia
dell'Imperatore Alessandro, con una numerosa squadra dei suoi Candiotti venne
contro i Saraceni in Sicilia, e si unì con Maniace Generale dell'armata Greca:
fe-ce memorabile strage di quei barbari, cacciandoli da tutto Val di Noto.
Giovanni I Grifeo, figlio di Auripione e di Geltrude figlia
di Dragone fratello del Conte Ruggiero, valoroso combattente, si accasò con
Valdetta figlia di Aifredo Braccioforte (Branciforte), e fu Straticò di
Messina.
Da costui sarebbero discesi poi i Grifeo di Partanna ed i
Griffo napoletani.
Anche in questo caso le perplessità e le inesattezze sono
varie.
Cerchiamo dunque di esaminare adesso quanto finora
riportato, per coglierne la reale attendibilità e comprendere la metodologia
applicata per una ricerca storico-genealogica che per sua natura ed
implicazioni doveva essere molto approfondita e documentata.
LE RICERCHE HANNO INVECE RIVELATO…..
Innanzitutto, al fine di valutare l’attendibilità della
ricerca genealogica di Antonio De Curtis, sarebbe opportuno ricordare che una
ricerca genealogica è a tutti gli effetti un processo giuridico. Si raccolgono
i documenti probanti, si valuta la loro attendibilità e veridicità, si
controlla che tutti i documenti possano realmente dimostrare l’effettiva
successione genealogica, generazione per generazione. Quindi si passa alla
valutazione della genealogia risultante, al di là di ogni ragionevole dubbio e,
se è il caso, si analizza poi il diritto scaturente da tale successione.
Abbiamo ricordato, all’inizio di questa nostra relazione,
come la genealogia di Totò dovrebbe avere, in teoria circa ottanta generazioni.
Se calcoliamo soltanto la sua discendenza dall’Imperatore
Focas (sec. X), ovvero una discendenza di mille anni circa, che equivarrebbe,
in teoria generalizzante, almeno a trenta/quaranta generazioni, occorrerebbero
almeno una cinquantina di documenti o fonti coeve o postume ufficiali ed
attendibili, che potessero dimostrare l’effettiva genealogia da tale
personaggio.
Ma non mi risulta che siano stati prodotti tali e tanti
documenti nel processo di riconoscimento di Antonio De Curtis.
Procediamo però con ordine e cerchiamo di vedere quali sono
i punti oscuri o che sembrano erronei in tale documentazione.
Innanzitutto, studiando la biografia del grande attore,
dobbiamo notare innanzitutto come, analizzando quello che risulta dai documenti
dello Stato Civile da me consultati subito sorgono le prime contraddizioni.
Queste contraddizioni sembrano in effetti nate grazie a
racconti che sembrano narrati a suo tempo dallo stesso Totò, che hanno poi dato
vita alla leggenda alimentata poi seguita dai suoi "biografi" e
continuata fino ad oggi, anche da quel che scrive e racconta la figlia Liliana.
Iniziamo però con ordine e cerchiamo di metterle a fuoco.
Innanzitutto si è sempre ritenuto ed è stato raccontato,
che il padre di Totò, Giuseppe De Curtis (* Napoli 1874, + Roma 1945), era
figlio di un Marchese (e Marchese egli stesso poi).
Invece, come abbiamo potuto constatare dai manoscritti
Serra, e come prima abbiamo già ricordato, né Giuseppe De Curtis e né suo
padre, Luigi De Curtis (* Napoli 1839, + ivi, S. Lorenzo, 20/02/1926), era il
titolare del titolo di Marchese.
L’unico titolo marchionale concesso ad una famiglia De
Curtis fu quello con cui fu decorato il già ricordato Michele (1733), della già
citata casata di Somma, per se ed i suoi discendenti diretti (mpr.).
In realtà spulciando i registri dello Stato Civile di
Napoli sono però saltati fuori alcuni dati che dimostrano ben altro che le
affermazioni diffuse da Totò ed i suoi biografi.
Luigi De Curtis, figlio di Lorenzo De Curtis e Vincenza
Abramo, in realtà, come appare anche dal suo atto di morte (Napoli, quartiere
S. Lorenzo, 20/02/1926) faceva il "pittore" (o forse l'imbianchino,
come a Napoli tale termine significava), e non apparteneva alla classe
nobiliare, mentre il figlio Giuseppe poi faceva il sarto ambulante.
Viene a cadere così uno dei più noti postulati sulla
famiglia di Antonio De Curtis: la sua ascendenza non era quella che aveva il
titolo di Marchese.
Ma proseguiamo.
Un’altra famosa
asserzione racconta che Totò non era potuto nascere da matrimonio
"legittimo" perché il nonno Luigi, ricordato dai biografi di Totò
come "Marchese", si era sempre opposto a che il figlio Giuseppe e la
popolana Anna Clemente si sposassero, per questione di differenza di classe
sociale.
Infine si raccontava che solo dopo la morte del nonno Luigi
suo figlio Giuseppe poté finalmente sposare finalmente Anna Clemente, perché
non c'era più il padre ad opporsi.
Eppure, spulciando i citati registri dello Stato Civile di Napoli, appare
che Giuseppe e Anna si sposarono a Napoli, quartiere S. Carlo il
24/12/1921...... mentre Luigi morì a Napoli, quartiere S. Lorenzo il
20/02/1926,.… ovvero 5 anni DOPO tale matrimonio.....
A questo punto dobbiamo quindi riconsiderare anche questa
storia.
Siccome la famiglia De Curtis, abbiamo visto appena
desso, non aveva titoli riconosciuti a quell'epoca e non sembra che navigasse
nell'oro, l'opposizione del nonno Luigi al matrimonio fra Giuseppe e Anna
sembra poco credibile e più tendente a giustificare, a dare una “ragione”, al
comportamento forse non troppo ortodosso, di Giuseppe che mise incinta Anna,
non riconobbe subito il figlio frutto di quella relazione e per anni non si
decise a sposare Anna e non riconobbe Totò come suo figlio. Così come la storia
che Giuseppe e Anna poterono sposarsi solo dopo la morte del “nobile e
ostacolante” Luigi sembra più motivata dal voler giustificare il perché mai i
due genitori di Totò si sposarono vari anni dopo.
Fatte queste considerazione sembra dunque iniziare a
vacillare il castello di racconti ed affermazioni sulla nascita e la famiglia
di Antonio De Curtis.
Abbiamo compreso dunque, analizzando quanto rintracciato finora, che la famiglia di Antonio De Curtis non era la famiglia che aveva il diritto al titolo di Marchese.
Eppure su tale pretesa si basava la successiva, ovvero quella di essere Totò il diretto discendente, attraverso i Griffo, degli Imperatori Focas di Bisanzio!
Ma allora che relazione c’era fra Antonio De Curtis ed i Marchesi De Curtis originari di Somma Vesuviana?
Come abbiamo già specificato in premessa questa nostra relazione non ha come scopo fondamentale lo studio della genealogia della famiglia di Antonio De Curtis, ma la sua pretesa di discendere dagli Imperatori Focas di Bisanzio.
Abbiamo provato come Antonio De Curtis non era l’erede dei Marchesi De Curtis basterebbe questo primo elemento per far vacillare, se non crollare, le pretese al trono bizantino da parte di Totò.
Da quanto mi risulta comunque, confermato da alcuni studiosi, sembra che dai documenti presentati Totò risultasse discendente da un ramo collaterale al 1° Marchese De Curtis, il citato Michele (attraverso Federico, sembra, fratello di Michele; ma in realtà Federico ebbe solo discendenza femminile).
In realtà comunque sembra che la famiglia di Totò e quella dei Marchesi De Curtis fossero due famiglie distinte di cui, per ora, non mi risulta che sia stato rintracciato nessun legame, anche se mi è noto che sia in corso uno studio su tale argomento.
Continuando però lo studio di questo interessante caso possiamo fare altre interessanti valutazioni.
Il capostipite dei Marchesi De Curtis, il citato Angelo, che sembrava avere come cognome Griffo, Grippo o Grippus, e che era considerato il capostipite del ramo De Curtis, in realtà non risulta che appartenesse alla famiglia Griffo.
Sembra più che Griffo o Grippo non era un cognome ma un soprannome che voleva dire "superbo”.
In effetti una prova di un aggancio genealogico fra i De Curtis ed i Griffo non esiste e la semplice citazione del detto Angelo non è probante di una effettiva sua discendenza dai Griffo.
In realtà, da vari dati, sembra più che i Marchesi De Curtis fossero un ramo dei nobili De Curtis di Cava de’Tirreni, anche se
Finora non risulta provata la congiunzione tra queste
due famiglie.
I De Curtis (ed anche Della Corte) di Cava erano una antica e nobile famiglia, attestata nella città fin dal secolo XIII, così come ricordano vari storici come Guerritore, Candida Gonzaga ecc..
Da alcuni atti notarili di quel periodo sembra che essa fosse di antichissima casata longobarda (che risulterebbe così attestata dal X-XI sec.), come affermano anche vari studiosi come Candida Gonzaga.
Infatti in una compravendita stipulata in Salerno nel 1278 Bartolomeo De Curtis, acquistando un terreno, ricordò, secondo l’uso longobardo di declinare la genealogia di famiglia negli atti ufficiali, che il suo capostipite era stato il conte Atenolfo (XI sec.), padre di Ademario, da cui, in linea retta, erano discesi Mario, Landolfo e Matteo, padre del detto Bartolomeo. La famiglia De Curtis era dunque originaria della zona fra Salerno e Cava dei Tirreni ed infatti il ramo di Cava si radicò nel casale che essi eressero e che da loro fu detto De Curti, entrando a far parte della nobiltà locale.
La famiglia ebbe poi vari personaggi celebri, come Giovanni e Bartolomeo (XIII sec.), che prestarono denaro a Carlo I d'Angiò; Leonetto (XV sec.), milite e regio consigliere, partecipò alla famosa impresa cavese alla battaglia di Sarno (1460) e fu capitano di Reggio (1465), attualmente la sua tomba è ancora in Cava; Giovan Andrea, Presidente del Sacro Regio Consiglio; Francesco e Scipione, Consiglieri di S. Chiara; Camillo vice cancelliere del regno, avvocato del R. patrimonio, Presidente della Regia Camera della Sommaria e Reggente del Supremo consiglio d'Italia nella corte cattolica (un suo quadro è attualmente ancora al comune di Cava e fu oggetto di una contesa con l'attore Totò, che non riuscì però ad ottenerlo); Tommaso, nativo di Napoli, cavaliere di Malta (1582); Paolo (XVI-XVII sec.), Vescovo di Ravello (1591) e poi di Isernia;
Riguardo al citato Camillo Presidente della Regia Camera della Sommaria vi è poi da raccontare un aneddoto interessante. Il quadro di costui, conservato nel palazzo comunale di Cava, ritrae un uomo maturo che somiglia in maniera a dir poco impressionante proprio ad Antonio De Curtis. Anche se questo prova ben poco l’attore voleva a tutti i costi compare il quadro, ma di fronte al netto rifiuto del sindaco di Cava di allora si racconta che Totò, dalla stizza, pianse.
A sostenere la tesi della discendenza dei Marchesi De Curtis, viventi in Somma Vesuviana, dai De Curtis di Cava, c’è poi l’effettiva somiglianza degli stemmi delle due casate. L’uso degli stemmi, che ovviamente non è probatorio, può avvalorare però la nostra tesi laddove ci si possa chiedere perché mai gli avi dei marchesi De Curtis usassero uno stemma come i De Curtis di Cava anziché il celebre grifone rampante arma classica dei Griffo napoletani.
Lo stemma della famiglia di Cava era infatti “d'oro a tre bande di azzurro, al capo dello stesso, con un crescente montante di argento, accompagnato da tre stelle di otto raggi d'oro, 1 e 2”, mentre quello dei Marchesi De Curtis era: “Di argento alla croce patente di rosso (o argento) a tre bande di azzurro con il capo di rosso caricato da tre stelle d’oro”.
In effetti la similitudine sembra evidente e si può ipotizzare che i Marchesi De Curtis non avessero fatto altro che modificare lo stemma avito (si nota chiaramente che i due stemmi hanno in comune le tre bande di azzurro e le tre stelle d’oro).
Verrebbe a decadere a questo punto la presunta discendenza dei Marchesi De Curtis dai Griffo, giacché, al di là di ogni altro riscontro, non risulta siano state fornite tutte le prove, generazione per generazione, atte ad appurare e dimostrare l’effettiva discendenza dei De Curtis dai Griffo.
Ma procediamo oltre e cerchiamo di capire a questo punto, se poi i Griffo potessero effettivamente dimostrare la loro ascendenza fino alla dinastia dei Focas.
Dobbiamo innanzitutto ricordare che gli autori antichi, gli
araldisti ed i "genealogisti" di un tempo, molto (troppo) spesso
facevano le "ricerche" o su commissione o per accattivarsi le
simpatie di un potente e quindi le loro ricerche erano volte quasi sempre ad
encomiare, a celebrare la nobiltà ed il prestigio della casata che stavano
trattando attraverso la genealogia di tale famiglia ed i suoi titoli nobiliari.
Quando però le ricerche non trovavano più ulteriori
documenti per risalire indietro nel tempo, ovvero quando non rintracciavano
ulteriori documenti che provavano una genealogia su basi storiche, cercavano
allora di “ricostruire” presunte genealogie e presunte "verità"
storiche del passato....... immaginandole.
Gli studiosi antichi partivano da un preconcetto e da una
ignoranza di fondo: credevano che una famiglia avesse nei secoli sempre lo
stesso cognome (oppure, al massimo, una variante antica, fino a prova contraria
evidente), così come reputavano che lo status nobiliare di una casata fosse
stato sempre quello anche nei secoli precedenti.
Ecco fiorire dunque per quasi tutte le casate nobili la "genealogia
mitologica" sulle origini del casato.
Il punto di partenza di tali "voli pindarici" era spesso il
cognome.
Il problema è che la scienza cognomastica venne concepita e studiata solo
nel ‘700, da Muratori e mentre invece la genealogia è scienza antichissima,
anche se solo in epoca moderna trattata con scientificità.
Cognome di origine latina (Massimo, Ruffo, Rufolo)?
Consideravano allora la casata come discese da una omonima gens romana. Cognome
latino-bizantino (es. Griffo, Angelo)? Consideravano la discendenza da casata
bizantina! Cognome di origine longobarda o franca barbarica? Ecco dunque che si
considerava quella casata discesa da Conti longobardi o franchi.
Ma su base storica e metodologica tutto questo avveniva? Perché un casato
dovrebbe discendere sicuramente da un altro? Solo perché avevano lo stesso o
simile cognome? Solo perché vivevano nelle stesse zone? Ma in che modo però si
potrebbe coprire il vuoto genealogico e documentario di generazioni e
generazioni fra una famiglia e la sua presunta "casata di origine"???
Questa non è genealogia, è mito. Quindi fuorviante e fallace.
Fatte queste considerazioni
cerchiamo adesso di capire come possiamo stabilire
che i Griffo discendano dai Focas?
E che i Griffo ed i Grifeo siano la stessa famiglia?
Iniziamo a considerare i Griffo campani.
Lo storico
Mazzella nel 1601 ricordava come un Francesco Griffo nel privilegio del 1109
fosse fra i Consoli di Amalfi che sottoscrissero tale privilegio che venne
concesso ai nobili amalfitani, di godere gli stessi privilegi dei napoletani.
Come
tante altre illustri e celebri casate della costiera, dunque, forse anche i
Griffo arrivarono a Napoli da tale zona.
Non
esiste nessuna prova genealogica che dimostri effettivamente questo legame
genealogico fra i due casati. Abbiamo di nuovo i soliti fallaci elementi prima
citati: cognome simile, nobili entrambe le casate.
Nemmeno
esiste prova della connessione genealogica effettiva e dimostrata fra i Griffo
di Napoli e la casata bizantina dei Focas attraverso il ramo Grifeo che da loro
si vuol disceso.
Un
qualunque studente di giurisprudenza del 1° anno (ma anche il buon senso
comune) saprà spiegarvi che nessuno andrebbe mai in tribunale a reclamare una
eredità solo perché ha un cognome simile ad un defunto signore.
E
nessuno sano di mente cercherebbe di vendere una proprietà affermando che era
di suo nonno.
In
entrambi i casi occorrono i documenti, le prove che possano dimostrare
l’effettiva discendenza, generazione per generazione, dalla quale scaturisce il
diritto che stiamo considerando.
Perché
anche il diritto di essere considerato discendente di una antica casata e
quindi dell’appropriazione della “memoria storica” di tale famiglia, deve
essere dimostrato e deve essere considerato come un patrimonio del quale, per
poterne godere, bisogna dimostrare quelli che in diritto sono definiti i
“titoli di provenienza” e che in genealogia si traducono in documenti che
provano la discendenza, la provenienza appunto, da un determinato soggetto.
Nel caso dei Grifeo di Sicilia, come abbiamo già detto, la
tradizione, avvalorata dalle tesi “mitiche” di storici” quali Rocco Planeta,
Mugnos, ecc., considerava il capostipite dei Grifeo Leone Foca, figlio di Barda
Foca II, il vincitore dei Bulgari, che adottò come cognome quello di Grifeo.
Come abbiamo detto,
poi, secondo Mugnos il figlio di Leone Grifeo, Auripione, venne contro i
Saraceni in Sicilia.
Giovanni I Grifeo, figlio di Auripione e di Geltrude figlia
di Dragone fratello del Conte Ruggiero, valoroso combattente, si accasò con
Valdetta figlia di Aifredo Braccioforte (Branciforte), e fu Straticò di
Messina.
Da costui sarebbero discesi poi i Grifeo siciliani.
Anche qui il generico errore è stato ripetuto. La
genealogia certa della casata non riesce ad arrivare provatamente fino al
citato Leone Grifeo. In realtà la genealogia sicura sembra iniziare solo da
Giovanni I Grifeo (sec. XI).
Anche qui, dunque, abbiamo il ripetersi dei soliti errori
degli storici antichi che traevano conclusioni affrettate senza sufficienti
elementi. Ovvero abbiamo di nuovo i soliti fallaci elementi prima citati:
cognome simile, nobili entrambe le casate.
I dati esistenti, dunque, anche se fosse provata un’origine
bizantina dei Grifeo, sono troppo pochi per poter accertare, al di fuori di
ogni ragionevole dubbio, che i Grifeo siciliani erano davvero discendenti dei
Focas.
EPILOGO
A questo punto, dopo aver tanto discusso del “caso De Curtis” possiamo concludere come, da quello che è emerso, i vuoti genealogici, i dubbi, le incertezze e le inesattezze nella presunta genealogia di Antonio De Curtis sono tanti e tali che non avrebbero in nessun modo potuto dimostrare il suo legittimo diritto ad essere considerato discendente di una dinastia imperiale bizantina.
Ripetiamo che per dimostrare una simile genealogia sarebbero serviti i tanti documenti probanti, generazione per generazione, l’effettiva e reale linea genealogica diretta fra Antonio De Curtis e Leone Foca Grifeo.
Abbiamo invece compreso che innanzitutto Antonio De Curtis
non era l’erede dei Marchesi omonimi, quindi siamo giunti alla conclusione che
non è dimostrabile che i Marchesi De Curtis discendessero effettivamente dai
Griffo (ma anzi, come abbiamo visto, sembra che non lo fossero affatto e che
discesero invece dall’omonima famiglia di Cava).
In più non esistono prove genealogiche tali per dimostrare,
al di la di ogni ragionevole dubbio, che i Griffo (ed i Grifeo) fossero un ramo
dei Foca bizantini.
Al che ci dovremmo domandare in che modo è stato possibile
ad Antonio De Curtis ottenere l’aggiunta di questi cognomi in Tribunale?
Ed inoltre, come mai ottenne gli altri cognomi?
Sono i cognomi di alcune delle dinastie imperiali
bizantine.
La dinastia dei Ducas, che regnò sull’impero bizantino dal 1059 al 1078, la dinastia dei Comneno, che governò
dal 1057 al 1185 e la casata dei Flavio Angelo (ovvero
Angelo, ma che pretendevano di discendere dalla dinastia imperiale romana dei
Flavii), regnante dal 1185
al 1204.
Il cognome
“Porfirogenito”, poi, soprannome di vari imperatori, in realtà derivava da un
titolo attributo ai membri della famiglia imperiale bizantina nati da
padre regnante. Tale espressione (ovvero: “generato dalla porpora”) deriva due
elementi fondamentali: ovvero che nel palazzo imperiale di Costantinopoli si
chiamava “sala della porpora” quella dove venivano alla luce i principi,
sia perché per antica tradizione risalente a Diocleziano, la porpora era il
colore imperiale per eccellenza.
Il problema però
resta sempre lo stesso.
Come è possibile
attribuire un aggiunta di cognome laddove non esistono tutte le prove
documentarie, generazione per generazione, fra il soggetto pretendente ed il
presunto avo?
Per fare un esempio
se un soggetto contemporaneo volesse avere l’aggiunta del cognome della
bisnonna paterna non dovrebbe dimostrare, generazione per generazione, l’effettiva discendenza da tale antenata (ovvero
documenti della bisnonna paterna, del nonno paterno, del padre, estesi ai
rispettivi coniugi, e personali)?
Ma allora, dopo tutte queste considerazioni, ci potremmo domandare come mai i Tribunali italiani riconobbero ad Antonio De Curtis i tanti cognomi e, indirettamente, i suoi vari titoli e le pretese alla discendenza dalla casata bizantina come legittimi?
E perché mai un tribunale della Repubblica Italiana si occupava di tali faccende di “diritto e genealogia nobiliare”?
La IV Disp. Trans. della Costituzione, come è ben noto, indica: “I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome….”.
Per predicato di intende dunque quello di un titolo nobiliare (l’ex feudo) su cui la famiglia appoggiava lo stesso titolo.
Il problema di fondo fu il significativo e profondo vuoto generato nel settore che seguì con l’abolizione della Consulta Araldica.
Nella Repubblica, infatti, non ci fu più un organo ad hoc abbastanza competente per interessarsi dell’eventuale riconoscimento giuridico dei titoli nobiliari italiani. Tale vuoto si protrasse dalla costituzione della Repubblica fino alla sentenza della cassazione che proibì l’interessamento degli stessi a questioni di diritto nobiliare che non potevano e non dovevano riguardare la legge italiana, nel ’63). In questo lasso di tempo molti aspiranti “nobili titolati” si fecero infatti riconoscere cognomi ed aggiunte di cognomi, predicati di titoli, ecc. che loro non spettavano affatto o che erano di incerta o dubbia attribuzione.
Fu in questo vuoto legislativo e nella poca competenza in materia dei giudici che si inserì a suo tempo anche il processo di riconoscimento di Antonio De Curtis.
Nel suo caso De Curtis i tribunali italiani giuridicamente non avrebbero potuto riconoscere e non riconobbero infatti, formalmente, tale diritto, per Antonio De Curtis ai vari titoli imperiali e nobiliari, ma solo le sue pretese ad aggiungere al suo una serie di cognomi di illustri avi.
Da tale riconoscimento, però, anche organi ormai privati, come il Collegio Araldico, decisero di riconoscere al De Curtis la lunga serie di cognomi e di numerosi titoli a lui spettante come erede ormai considerato della dinastia bizantina dei Foca, inserendolo quindi nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana.
Questa dunque, è la conclusione di questa mia breve ed incompleta relazione.
Ma vorrei finire questo mio scritto con un’ultima considerazione.
Fu la legittima aspirazione di un uomo nato senza un padre riconosciuto, il suo desiderio di emancipazione e di legittimazione, la sua aspirazione a riappropriarsi di quella famiglia e di quegli avi che la vita sembrava avergli negato arrivarono, forse anche mal consigliato e mal guidato da chi approfittò, magari per lucro o forse per impreparazione, di tali aspirazioni, a generare uno dei più eclatanti e famosi casi di “genealogia forzata” dell’epoca moderna.
Grazie per l’attenzione
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento speciale va al signor G. D’A. per i suoi consigli, informazioni e suggerimenti sui Marchesi De Curtis ed un altro ringraziamento particolare al sign. Grifeo di Partanna per le notizie sulla sua famiglia.
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