Totò nei ricordi di Enzo Barboni (1922-2002) *

"Come assistente operatore ho lavorato per 18 anni con Vich, straniero molto bravo, il mio maestro. No, mai con Totò. Durante la seconda guerra mondiale lavorai al reparto cinematografico dell’esercito. Successivamente ho lavorato x Cinegiornali e documentari, anche in Ferraniacolor. Non mi occupavo di montaggio e doppiaggio, ma solo di fotografia.
Ho fatto alcuni film con Totò, quale direttore di fotografia.
“I DUE MARESCIALLI” il copione era ben “lavorato” e quindi non mi pare vi fosse molto da cambiare. Totò qui non riscriveva i dialoghi, anche se, nei momenti di “buco” se ne usciva con qualche aggiunta, commentando poi: “se non vi piace, la tagliate”. Erano comunque sempre battute inerenti al contesto. C’era una collaborazione stupenda fra Totò e Vittorio De Sica. Il pastore tedesco era l’eccezionale Dox di Maimone. Gli esterni li filmammo a Castel San Pietro, paesino situato a mille metri d’altezza, dove furono girati i “Pane, amore…” con la Lollo’; gli abitanti erano tranquilli e furono anche utilizzati quali comparse meno costose. Il sindaco del paese era Porrè Pastorel: suo filgio, morto durante la Guerra, era mio amico. Bastò telefonargli: “Guarda ci sarebbe un film con Totò…” Si rese subito disponibile e ci aiutò per la “parte burocratica”.
Scene di maiali e pecore non ne ricordo: i press agent pubblicizzavano solo le grosse produzioni, tale notizia in un periodico dell’epoca? Forse potrebbe essere stato un espediente per il lancio del film? Corbucci era per le idee rivoluzionarie, con quel ladro, poi maresciallo dei carabinieri, portato via dai tedeschi. Qui De Sica fece un appunto, il medesimo che, all’insaputa uno dell’altro, fece poi, all’incirca anche Totò: “La gente va a vedere i nostri film perché sono allegri. Lasciato così sarebbe come un “brigadiere Della Rovere”…” E così girammo il finale ambientato venti anni dopo: in una stazioncina che da Tivoli va verso un paesino, fra treni autentici.
Il film fu girato, come al solito, in 4 o 5 settimane. Dopo due giorni, era di obbligo girare alcune scene in teatro di posa, e talvolta le si dichiaravano anche se non era vero e si girava in esterni.
Castel San Pietro dista da Roma una ora e mezza: ricordo che faceva freddo, ed io dormivo là, in affitto, per risparmiare le tre ore di viaggio, fra andata e ritorno. Mi pareva di essere tornato ai bei tempi. Totò tornava invece ogni giorno a Roma, con la Cadillac che cambiava spesso. Totò mi fece arrivare la voce che gli si era abbassata la vista e se fosse stato possibile non offenderla con riflettori troppo intensi: ciò in modo molto garbato, gentile e rispettoso. Io acconsentii purchè mi avesse fatto arrivare un “doublex”, apparecchio più sensibile, e così fece. Quando iniziai a girare, essendo un tipo di apparecchio con accensione diversa dal precedente, Totò mi chiese: “Non accendi?” gli risposi: “Ma è già acceso! E’ un tipo nuovo, più sensibile.” E lui replicò: “Vabbè, perdere la vista, ma ci devo vedere per lavorare”. Infatti doveva vedere la zona assegnatagli per muoversi.
Non ha mai alzato la voce, era generoso con tutti. Regalava lambrette. Accadde alla Titanus che aveva una salita ripida. Di solito prima di iniziare a girare, ci riunivamo tutti al bar. Una mattina venne pure lui. C’era uno della troupe che arrivò bagnato dal sudore: era in bicicletta. Vistolo, gli chiese come mai fosse così trafelato: “Come mai hai corso tanto? Avevi paura di fare tardi? Da dove vieni, dove abiti?” e lui “abito a Cinecittà” “Ma fammi il piacere: ci penso io!” Così mandò un suo uomo ad acquistargli una lambretta. Totò si riteneva graziato e fortunato.
Mario Castellani aveva una memoria straordinaria e Totò gli era grato perché gli dava “l’imbeccata”; se c’erano momenti di silenzio, vuoto, Totò lo chiamava: “Castellà” per valutare una improvvisazione per riempire il vuoto.
Una volta chiese : “Mi date le notizie sportive?” Era una scusa perché notassimo un articolo Dove un nobile di antica famiglia, perito di araldica, confermava la sua discendenza Da Bisanzio. Tutti lo chiamavano “principe” per rispetto, ma lui a quello più vicino diceva: “Chiamami Totò”.

“Totò Diabolicus” fu per me un lavoro da pazzi perché girato sullo stesso negativo anche inquadrature fino a sei volte(il numero dei suoi ruoli complessivi). Fu fatto con “i mascherini”, non in truka! Cambiava il costume per ogni ruolo che interpretava, e per guardare correttamente nella posizione dove si sarebbe trovato, ancora lui, ad interpretare uno degli altri ruoli, era Sergio Corbucci ad indicargliene la posizione corretta, e per far prima, lo chiamava “Totò”. La macchina da presa era una Mitchell. Solo quando era in più ruoli nella medesima inquadratura, ma con gli altri di spalle, nei campi lunghi, era coadiuvato da uno stuntman, che mi pare fosse uno dei fratelli Dell’Acqua. Totò e Steno erano amici. Steno era un umorista straordinario: umorismo elegante ed ironia. Su qualche battuta che sentiva di poter migliorare, Totò gli chiedeva: “ A Ste’, ti dispiace se la volgarizzo?” Steno era sempre disponibile: tutti noi potevamo portare idee o battute che poi vagliava.

“LO SMEMORATO DI COLLEGNO” esterni girati a Santa Maria Pietà, presso Monte Mario. A cavallo la suora di spalle era “un cavallerizzo”. Il filmino del processo dove alla fine non si vede il viso, era tratto da un fatto realmente accaduto relativo al caso Bruneri-Cannella. Sì, feci “Il giorno più corto”, ma la scena con Totò frate bersagliere al balcone, non ricordo come, né dove girammo.

“IL MONACO DI MONZA” esterni girati in una borgata presso Manziana. Girammo anche in un convento vero di monaci, che ci diedero il permesso, previo “cadeau” per i poveri del paese… nel convento c’era anche una bella cripta alla quale pensavamo come set ideale per la scena dove il cattivo (Nino Taranto) si finge morto: ma questa ce la rifiutarono; così, la cripta, dovette essere ricostruita in teatro di posa.

“Gli onorevoli” gli esterni con Antonio La Trippa, ambientati a Roccacannuccia, li girammo presso Campagnano Romano; Franco Castellani non riusciva a pronunciare correttamente il termine francese “debacle”: perdemmo una intera mattinata e continuava a sbagliarne la pronuncia, pur essendo un buon attore. Sergio Corbucci era un cinico in tal genere di cose, e gli chiedeva: “Ma come, non riesci pur con un “gobbo” in primo piano?!” Quello che si mangiava Mimmo Poli!!

intervista esclusiva del tenente Colombo del 3 novembre 1999

*(da assistente e aiuto operatore, ad operatore alla macchina, a direttore di fotografia; poi regista come “E. B. CLUCHER” , se ne ricorda il noto record d’incassi, “Lo chiamavano Trinità”, creatore del genere western comico, per tutta la famiglia, e quindi, distinto sia dal western serio, quello inarrivabile e perfetto di Sergio Leone, il quale, ha dato lezione di genere agli U.S.A. stessi,che dallo “spaghetti”; certo accomunabile al “fagioli-western”, ma di gran lunga superiore a tanti western italiani di serie B e C; semplici distinzioni che molti giornalisti, ma certo non ce ne stupia non hanno mai capito)


advanced web statistics

www.antoniodecurtis.com