Totò nei ricordi di Ugo Gregoretti

" Giungendo al cinema, avevo “l’onta infamante” di avere lavorato per la tv, così era all’epoca. Feci il film “OMICRON” che, ahimè, si rivelò un fiasco. Allora, volevo dare prova di essere capace di fare almeno una commediaccia, per riconquistare la fiducia di produttori e noleggiatori, ecco perché scrissi “Le belle famiglie”. Lo scrissi in due episodi: “amare è un po’ morire” e quello con Annie Girardot. Mi imposero altri episodi, oltre ad aggiungermi come sceneggiatore Steno, data la sua esperienza nel genere comico-commedia, e la sfiducia in me. Queste imposizioni non erano di Giuseppe/Pino Colizzi (ex romanziere, regista, ed amministratore della “Crono Film”, nipote di Luigi Zampa ed omonimo del doppiatore), che qui era il produttore esecutivo, ma dei reali finanziatori del film.
Io sono uno dei pochi che girano, rispettando la sceneggiatura, pur se consento aggiunte lì per lì, ed il cambio dei dialoghi al doppiaggio, col rispetto, logicamente, dei labiali. Molte volte le coppie Benvenuti-De Bernardi ed Age e Scarpelli fecero lunghe sedute In moviola con il regista del caso, per rimodellare verbalmente le sceneggiature sui labiali! Non ricordo se il ruolo interpretato da Rochefort sia stato prima proposto ad Amedeo Nazzari: è possibile..
Sicuramente a Nazzari io proposi il ruolo di Pickwick, ma rifiutò perché aveva una concezione umoristica del proprio uso d’ attore: se gli proponevi un ruolo nell’esercito, minimo gli dovevi affidare il ruolo di un capitano; se gli proponevi il ruolo di un maresciallo rifiutava!
Totò in un primo tempo non voleva fare l’episodio, forse perché voleva un cachet più alto, o forse perché in agosto, era abituato ad andare in vacanza. Così i produttori mi dissero: “Vallo a trovare, cerca di convincerlo.” Fu il nostro primo incontro: andai a casa sua, ma mi ribadiva che non voleva girare in quel periodo. Era sul sofà del suo salotto…alla fine, quando scoprì che mia moglie apparteneva alla nobiltà napoletana, mi disse: “Ma allora, siamo tra persone perbene.>> Mia moglie appartiene alle cosiddette “3 c” napoletane, cioè tre “grosse” famiglie della aristocrazia partenopea: i Caracciolo, i Carafa ed i Capece Minutolo; mia moglie è Capece Minutolo. Ne nacque una amicizia, era contentissimo.
Io lo colpii favorevolmente, perché adottavo il baciamano, non dicevo parolacce.. Ricordo Rochefort delizioso. Al contrario dell’episodio con la Girardot, qui non vi erano truccature particolari. I rapporti con gli attori erano piacevolissimi, si stava insieme volentieri, tutti divertiti e convinti di aver fatto una buona cosa.
Gli abiti della Milo erano di Pierino Tosi, mentre credo Totò giungesse pronto, vestito con abiti propri. Di solito giungeva sul set solo verso le 11. Un giorno, e fu l’unica volta, giunse in ritardo, alle 11:30, eravamo tutti stupìti, pensavamo si fosse ammalato. Invece fu per le deviazioni ed il traffico di folla, dato che c’erano i funerali di Togliatti.
Lui era preoccupato: “Roma è un mare di bandiere rosse! Che succede?” Ed io lo rassicurai. All’inizio io lo chiamavo “Principe” e lui “dottor Gregoretti”. Un giorno mi disse: “dottor Gregoretti, diamoci del tu”. Ed io finsi:”Ma no, Principe, che dice?” E lui insistette: “Ma diamoci del tu”.
Girammo il più possibile, prevalentemente, in presa diretta, perché avevamo immaginato che per la sua vista, avrebbe avuto difficoltà a doppiarsi. Torcevo il naso quando si alsciava andare alle sue improvvisazioni, poi dicevo: “Va, beh” Per sempio, è invenzione sua quando, alla cameriera risponde più volte: “Vuole parlare con l’obitorio…”
Vederlo lavorare fu per noi un prodigio, specie nella scena nel bosco e con un carrello che ricordo particolarmente complicato: aveva una capacità quasi rabdomantica di muoversi, facendosi pilotare da un tracciato di elementi solidi sul terreno, e da suoni e rumori anche in tragitti complessi.
Era insomma teleguidato dall’udito e da un “tatto pedestre”, e si divertiva a dimostrare che riusciva, con dinamicità e disinvoltura. Fu uno degli ultimi film montati da Mario Serandrei. Per gli esterni non si usava la presa diretta. Così, venne a Cinecittà per “doppiarsi”. Di solito, il doppiatore di professione, lavora con tre ausilii: sente in cuffia “la colonna guida”, guarda la scena proiettata sullo schermo, e davanti, posto sul leggìo, può leggere il copione. Talvolta, guarda e sente più volte, prima di “dare la voce”.
Qui, assistetti al secondo prodigio di quest’uomo: non potendo vedere che ombre, usufruiva solo dell’ausilio della cuffia, dalla quale ascoltava la “colonna guida”, una sola volta, poi doppiava perfettamente, volgendo le spalle allo schermo e col viso rivolto verso la finestrella, dietro la quale eravamo io ed il fonico: ci sorrideva per dimostrarci che era capace di farlo.
“Le belle famiglie” fu male accolto dai critici e mi pare fu anche un fiasco al botteghino: mi ferirono moralmente, tanto che mi convinsi di essere inadatto per il cinema. Così tornai alla televisione.
Il mio lavoro successivo, fu per la tv: “IL CIRCOLO PICKWICK” in 6 puntate da un ora ciascuna, di cui, almeno 90 minuti di esterni girati su natro magnetico(pellicola), perché le telecamere erano troppo ingombranti, ed il resto in studio col sistema elettronico(le telecamere). Anche se girato tutto in bianco e nero, le foto di scena erano a colori. In questo acso fui finalmente libero(pur di non offendere politici o di mostrare culi), anche di scegliere gli attori che volevo, purchè fossero a costo ragionevole."

intervista esclusiva del tenente Colombo del 3 marzo 2000


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