Alberto Lattuada e Totò

tratto da Totò di Orio Caldiron


La scelta di un attore per un certo ruolo è un'intuizione, non è una cosa ragionata. Non so più da quanto tempo vedevo Totò nel fratocchio della Mandragola, in questo frate in cui, a dispetto della sua condizione di religioso, agisce la corruzione del danaro, una specie di sottofondo insondabile, di febbre segreta. La mimica di Totò mi sembrava straordinariamente adatta a esprimere la complessità di un personaggio, che avrebbe potuto insieme costituire una singolare prova della sua maturità d'attore e una sorpresa per il pubblico.
Lo conoscevo da prima, ma l'incontro vero è stato quando abbiamo lavorato insieme per la Mandragola. I miei rapporti con Totò attore sono stati straordinari, bastavano poche indicazioni perché con la sua mimica rendesse immediatamente il personaggio e i toni delle battute, tanto che in certi punti non ho voluto rinunciare alla sua recitazione in diretta benché avessi una arriflex. Quindi ho ritagliato tutte le battute sporcando poi il fondo sonoro con un'altra manipolazione in modo da salvare la presa diretta perché in presa diretta aveva delle piccolissime invenzioni, delle minime inflessioni di voce che erano poi irripetibili. Nel doppiaggio aveva qualche difficoltà a seguire il film sullo schermo, non ci vedeva, sentiva la colonna in cuffia, ma era difficile arrivare a un sincrono perfetto e quindi qualche cosa ho salvato della presa diretta, benché fosse un po' disturbata. Quando fanno il patto di corrompere madonna Lucrezia, sono vicini a un pozzo e allora questo rimbombo del pozzo che restituisce la voce un po' amplificata mi è servito anche per mescolare le cose e nascondere i difetti.

Altri punti invece li ho doppiati con lui cercando il sincrono con un po' di pazienza. Il lavoro sul set è stato molto piacevole, molto creativo e dolcissimo. Mi ricordo l'accellerata che abbiamo dovuto fare una notte per fuggire dal convento dove ci aveva scoperto l'arcivescovo di Urbino e ci aveva intimato di andarcene, dicendo: « Vede, il priore è un poveretto, un simpatico francescano che non sa niente, lui non sa cos'è la "Mandragola", non sa niente di Machiavelli, dovete lasciare il convento subito ». Io ho detto: « Ma abbiamo tante lampade da trasportare ». « Eh, fate, fate, fate, portate via tutto. Guardi che io la conosco bene, eh, perché io sono milanese ». « Sì, alor parlem milanes ». « Eh, lu el pari milanes par restà lì a girar la :'Mandragola", ma mi ghe disi de andar fora subit ». Dico: «Va beh, ho capito Eminenza, bisogna andare via, ma insomma tecnicamente non è facile ». « Sì, sì, ma non importa, non importa. Dovete andare via subito, ecco. Qui c'è il priore e lui vi insegnerà la strada per uscire ».

Siamo ritornati al convento, erano le cinque e mezzo di sera, mancavano molte scene da fare, e allora ho detto: « Dobbiamo girare tutto prima di uscire di qui ». Il priore si è chiuso nella sua cella con un bicchiere di vino e ha fatto finta di non esserci più, di essere scomparso e noi abbiamo girato la scena forse più pericolosa quando fra' Timoteo prende la Bibbia e dice anche la Bibbia quando Lot era rimasto nel disastro solo e doveva procreare, perpetuare le specie, e così via. La scena è stata girata accellerando le operazioni di trucco e ritruccando di notte la Schiaffino che alle quattro era disfatta perché erano venti ore che lavorava. A Totò davamo un caffè dopo l'altro. Finalmente all'alba avevamo finito e siamo usciti. Totò aveva capito le nostre necessità, e continuava a dire: « Avanti, avanti, finiamo tutto ». Certo, era anziano, ma aveva questi sette spiriti napoletani che gli si agitavano dentro, era straordinario. Un'altra scena molto bella che abbiamo girato e che ho montato (della quale però non è rimasto niente perché vedendo e rivedendo il film al montaggio Bini mi ha convinto che la scena in sé era molto bella, ma che nel ritmo generale avrebbe costituito una specie di fermata nell'imminenza del finale) era una scena che avevo inventato, non c'è nel testo di Machiavelli.

Avevo pensato di far affiorare un certo turbamento, una presa di coscienza in questo fratocchio corrotto dall'oro; lo facevo andare in una cripta dove c'erano tutti i frati morti, delle specie di mummie, l'avevo scoperta in una chiesetta non lontana da Urbino. Siamo scesi in questa cripta, e Totò salutando i fratelli, accendeva una candela dopo l'altra come in una specie di atto votivo e continuava ad aumentare la luce balbettando: «Fratelli, io lo so che forse, insomma, ho fatto qualche cosa, ma a fin di bene, a fin di bene l'ho fatto». E poi passava davanti a queste mummie mangiate dal tempo, dai topi, e diceva: «Fratelli addio, anzi arrivederci presto ». Si trattava di una sorta di monologo con la morte, di una confessione a chi non poteva parlare, una confessione a persone inesistenti, ma nello stesso tempo uno scarico di coscienza sempre in chiave di ipocrisia. Totò la fece benissimo, anche se per la sua superstizione all'inizio era molto riluttante, mi chiedeva: «Ma, Lattuada, è proprio necessario che io la faccia? ».

Anche questa scena è stata rubata, perché anche lì è sopraggiunto l'arciprete dicendo: «Fuori! Fuori dai miei frati, fuori! Voi fate la "Mandragola", l'ho saputo dalla curia ». Mi sono ribellato e ho detto: «No, non andiamo fuori abbiamo avuto il permesso del prete». «Il prete non sa niente, io sono l'arciprete ». ìnsomma, una lotta. Mentre queste piccole scaramucce avvenivano tra il direttore di produzione e gli altri personaggi (perché io mandavo continuamente avanti nuovi personaggi, beh allora parli con l'ispettore, parli con il direttore, sostituivo continuamente gli interlocutori) intanto ho girato la scena incalzato dalla fretta. E' riuscita molto bene, stranamente, quando si fanno certe cose in queste condizioni, c'è una febbre che fa indovinare quasi tutto il meglio che si può fare, perché forse cincischiare a lungo su certe scene non è di grande aiuto.

Stando magari tre giorni a perfezionare una scena, si perde una certa freschezza, una certa violenza anche di intuizioni, quando invece si è in queste condizioni il cervello lavora il doppio e fa vedere le cose rapidamente, fa venir fuori subito il nocciolo della scena. Questo colloquio del frate con i suoi interlocutori muti non è entrato nel montaggio, l'avevo dato non so a chi, forse a una cineteca, e poi l'ho perso di vista.
Avrei sempre avuto voglia di impegnare Totò in una cosa importante, ma averlo come protagonista di un film non era facile, bisognava convincerlo, e poi al momento di concludere te lo sottraevano con delle proposte facili, immediate, da realizzare alla svelta, uno dei tanti film in cui riusciva a infilare degli inserti eccezionali che restavano sempre un po' a parte. Subito dopo La mandragola gli proposi una novella di Pirandello, «La cattura », gli piaceva molto, mi diceva: «E' bellissima, è bellissima, la voglio fare », ma intanto mentre io uscivo entrava un altro che diceva: «Ecco qua dieci milioni di anticipo, dobbiamo farlo subito, dobbiamo girare subito, subito », e se lo rubava, lo sottraeva ai progetti più ambiziosi, che spesso si estenuavano in trattative troppo lunghe. Peccato. C'eravamo trovati così bene che era nata l'idea di fare un'altra cosa insieme. Totò aveva molto apprezzato il tatto con cui avevo cercato di superare le difficoltà che gli venivano dalle condizioni disastrose dei suoi occhi, gli avevo preparato dei percorsi in cui toccando determinati punti sapeva dove mettere i piedi, dove scendere, dove appoggiarsi. Piccoli accorgimenti, trucchetti, percorsi tattili, cose da niente, ma sufficienti per metterlo a suo agio, perché non si sentisse menomato, e potesse lavorare con una certa tranquillità. Me ne fu sempre molto grato, facendone un altro motivo della straordinaria amicizia che ci legò nel periodo breve, ma intenso e piacevolissimo, della nostra collaborazione.

Filmografia Totò e Alberto Lattuada

1965 - La mandragola

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