Cesare Zavattini e Totò


L'articolo che segue e' tratto da "Scenario" n.9 settembre 1940

Cercherò di riferire con la massima precisione i discorsi ed i pensieri di questo grande mimo napoletano da me registrati in casa sua, viale Parioli 41, la sera del 9 agosto. Totò aveva un bellissimo vestito color porpora, le gambe secche e pelose su un tavolino intarsiato. Dietro la testa, il quadro di un trisavolo dal volto aguzzo; mi ricorda Cesare Beccaria tra i ritratti degli allievi illustri sulle pareti dei corridoi nel collegio ducale di Parma. Totò ama la casa e i suoi oggetti come un bambino: gli ho visto con questi miei occhi lucidare un vassoio d'argento dopo aver fatto servire agli ospiti calici di maccarese; e per un buco nel tappeto causato da una sigaretta - credo di essere stato io - si rannicchiò nella poltrona come una statuina di Gemito.

Non voglio essere indiscreto, ma una giornata presso questo marchese quarantenne si presenta con i tagli arditi di una commedia. Tutta la sua vita privata conferma come egli sia uno scrittore traviato, un diarista mancato: la cosa più interessante e commovente del mondo per Totò è proprio il sangue blu Antonio de Curtis, ed egli soffrirà sempre di non poterne raccontare la biografia segreta. Sul palcoscenico continua "più forte" gli atti quotidiani. Ecco la spiegazione delle rare risonanze del suo movimento: qualche cosa molto più "sangue" e memoria della comune definizione: le mosse di Totò. Totò tende verso un mondo preciso: talmente chiaro in lui che non sente i pericoli del suo carattere. La materia fàvolosa del suo gesticolare diventerà serie di immagini classiche solo se accentua quel rigore che in La camera affittata a tre è dovuto al tempo come somma di riflessioni. Con uno sforzo, egli può arrivare al teatro nel senso di creazione totale: dove "l'attore segue l'autore".

Il suo "moderno" sta per valicare l'aneddoto e agganciarsi solamente ai motivi prediletti della sua vera immaginazione: non all'autore dunque rivolgiamo il discorso, ma all'attore. L'attore è immobile, non gli domandiamo altro (e non commettiamo certo l'errore di esigere da lui dei mutamenti, o l'abbandono di alcuni suoi tipici atti, sarebbe come stancarsi della propria voce), va magnifìcamente bene com'è (e neanche il diavolo per fortuna riuscirebbe a cambiare un gesto); tutto il lavoro deve essere fatto dalla parte dell'autore. E che qualche cosa di importante - la sua crisi - stia avvenendo mi pare comprensibile anche dai seguenti ap- punri. Riferisco le sue parole. Se ne aggiun- go qualcuna, se completo o chiarisco, lo faccio sempre nell'ordine rigoroso delle intenzioni di Totò. "Leggo poco. Ma ho sempre il rimorso di leggere poco. Spero che equivalga all'avere letto un poco di più". "Qualche volta penso di abbandonare il varietà per il teatro. Non significa nel mio caso sottovalutare il primo ri- spetto al secondo, poiché lo stesso va- rietà con il repertorio che sogno di- venta automaticamente teatro. "Riassumiamo: scrivere una commedia con il coraggio del varietà (es. Sei personaggi in cerca d'qutore, La piccola città. Questa affermazione può far inorridire, ma provate a pensare a Petrolini con il genio di Pirandello).

"Adopero spesso le parole surreale e metafisico. Qualche amico mi ha messo in guardia, sono un po' troppo adoperate e vaghe. Io non arrossisco nel dirle, per me vogliono dire fantasticare come lo avrei detto a dieci anni. Credo che i cartoni animati siano surreali e metafisici nel mio senso un po' ingenuo: per questo vorrei essere come Maximum, il protagonista di un cartone animato. Anche perché vorrei parlare pochissimo. Ridere, esclamare; io rido in due modi, e proprio da cartone animato. Questa mia preferenza dovrebbe far capire l'urgenza di una regia che doni al palcoscenico di- mensioni sbalorditive. "Anche alcune riviste me le scrivo io. Ma talvolta c'è tra le cose che penso e la loro espressione un velo: In Tarzan quando entro in scena con la camicia bianca e le alette vorrei veramente volare intorno a Lucifero corne una farlalla. Invece un lazzo mi tiene incollato sul palcoscenico. Nessuno si accorge che certe sere io combatto una battaglia violentissima: Totò contro il suo repertorio. Sono momenti nei quali mi sembra di soffocare e allora mi vedete spiccare un salto straordinario - vi assicuro straordinario - e tento di arrampicarmi su per il sipario. Reagisco alla consuetudine della recitazione. Direi che è un fatto fisico.Vorrei persino precipitarmi nella voragine della platea e correre sulle teste degli spettatori. "Qualcuno ha scritto che io sono un'ameba. Giusto se si pensa che il fluttuare della forma sia il desiderio di essere sempre diverso. Vista l'impossibilitali identifìcarsi stabilmente subentra l'ansiosa ricerca della cosa o dell'essere che più ci somiglia. O una marionetta o un uccello.

Mettete un pò insieme queste due metamorfosi". "La mia non è una situazione originale, ho intuito che anche i mie simili nascostamente si trasformano con il pensiero -quante volte al giorno! - in un albero, in un gatto, in una lucertola. Io sento nelle vene le parentele più remote, per questo un illustratore mi accontenterebbe cambiandomi di colpo con un braccio in un giglio, un occhio in un ranocchio, e petali di girasole per capelli. Vedete quella piccola mensola La mia Danza del cigno che è un pezzo riuscito, mi sembra, nacque guardando quella mensola. Avevo sempre una grande voglia di volare lassù, di appollaiarmici tra lo stupore dei niei familiari. "Il movimento! Il bisogno di rompere oggetti. Vorrei che mi scrivessero un atto durante il quale io non faccio che rompere tazze,bicchieri, vasi e mobili. Il fracasso si compone in musica. Contemporaneamente dovrebbero scoppiare fuochi artificiali, la camera riempirsi di fumo.La mia infanzia è tutto un fuoco artificiale; sento ancora l'odore della polvere pirica. "Conosco l'umorismo moderno più nei settimanali che nei libri. Mi pare di essere esattamente dentro al mio secolo. Altri comici risolvono brillantemente il lato dialettico. Io tendo alle fìgure. Tra una battuta e la mia spada che si allunga, si allunga tenendo così a debita distanza l'avversario, io mi commuovo per la strada (e invidio la battuta). "A proposito di commozione, io non sono un sentimentale. I miei simili mi interessano per quanto essi non appaiono. Una bolla di sapone diventata di vetro - e io ci metto dentro un pesciolino rosso preso nel vuoto - mi commuove veramente. A ogni modo ho la coscienza tranquilla, poiché anche le bolle di sapone sono creature di Dio. Il 1940 è un anno capitale per la mia vita artistica: ho corninciato a capire di essere pigro. Sono le prime occasioni che cerco di descrivermi. Una volta dicevo: io befo la vita. Definizione barocca e adatta a troppa gente. Ora mi sono accorto che io amo la vita: il desiderio di comunicare con tutte le cose. Sarò meno pigro nel concepire lo spettacolo: che è la vita fermata con la fatica nei momenti a noi congeniali. "Amo le donne, dicon tutti. E' vero, come un arancia quando si ha sete. "Mi hanno rubato la mia arancia". Che . disperazione, pianti, grida. Amo profondamente mia fìglia. Questo può parere in contrasto con qualche affermazione di prima: ma non siamo d'accordo che la vita è veramente misteriosa?". Press'a poco tutto questo ha detto Totò. Siamo scesi insieme dallo scalone della sua villa, dal basso aspettava l'autista con il berretto in mano davanti alla Lancia come nei manilesti. "Farò un articolo", gli lo detto. "Lungo?", mi ha chiesto con ansia.


L'articolo che segue e' tratto da "Totò" di Franca Faldini e Goffredo Fofi (novembre 1987)

Nel 1917 vidi anche De Marco, di cui secondo alcuni Totò era figlio, in quanto ne ripeteva, almeno in parte, la mimica. Che periodo! Scopersi Petrolini, Viviani, Cuttica e Manara, Molinari, Armando Gill, Pasquariello, la Donnarumma, i Faraboni, Gastone Monaldi, correndo dalla Sala Umberto al Jovinelli, e qualche volta al Margherita, tre vaiété, in un giorno. Non ho nominato Anna Fougez, Bambi, Tecla Scarano, Gino Franzi, ecc. Ero quindicenne, coi calzoni corti, tutto solo, ma persi l'anno scolastico e fui mandato al confino ad Alatri dove passai tre anni meravigliosi senza imma- ginare che vent'anni dopo avrei fatto (malamente) il critico del variété su un settimanale...
Tutto il periodo del teatro degli anni Trenta, direi che non mi interessava - certo non quanto, da ragazzo, mi aveva appassionato il variété. Qualche rivista, certo... C'era Galdieri, che ne faceva un sacco, ma non le condividevo. La rivista alla Galdieri contraddiceva tutta la creatività del variété italiano. Galdieri, se faceva prendiamo l'Orlando curioso con Totò, con le ballerine, le scene, questo e quello, e tante filastrocche poeticistiche... reggeva; ma questo non vuol dire niente, era superficiale, piccolo-borghese. Come si salvava Totò? Si salvava perché inseriva sempre dentro lo spettacolo qualche suo testo. Questo ha un'importanza non comune, perché non c'è pericolo, erano brutte cose, e quanto più non sembravano brutte, tanto più lo erano. Pareva che si elevassero a un certo tono che dava a Totò un valore che altrimenti non avrebbero avuto, mentre invece il suo valore lo aveva intatto laddove respingeva tutto quest'altro materiale. Il suo sketch era lì, si poteva sempre dire: " facciamo tre sketch di Totò, e siamo a posto "; ma l'immaginazione di quelli che lo manipolavano era un vero disastro.
Io avevo cominciato a contattare Totò, e poi siamo diventati amicissimi, ma Totò non era trattabile in quanto non aveva logica... Stava volentieri a chiacchierare con me chissà di che cosa (mi ricordo che quando in viale Parioli 41 ci serviva vino o caffè, lui in persona, su un vassoio d'argento stemmato, poi lo riponeva sull'étagère pulendolo con il gomito), ma poi usciva e se Guglielmo Giannini gli offriva una cosa la faceva perché seguiva certi criteri pratici, senza mai amministrarsi mentalmente, culturalmente, intellettualmente. Ma era di tale qualità che tutti lo volevano, perché funzionava sul pubblico, e così lo prendevano mescolando il buono e il cattivo, in un gran casino, così che non era facile scegliere il loglio dal grano.

A Milano feci una grossa campagna per Totò, nei primissimi anni Trenta, perché i miei amici mai andavano a vedere questi spettacoli, mai andavano al Trianon, io invece ci andavo per via dei residui del mio vecchio amore per il variété. Insomma, a un certo punto dico: " Totò, tu sei il mio uomo! " e scrivo Totò il buono. E sarebbe andato magnificamente bene, ma non c'era rispondenza effettiva nell'ambiente per prendere Totò in forza in quel modo lì. Ho avuto forse la più grande occasione della mia vita, quando Capitani mi offerse di fare il regista di San Giovanni Decollato con Totò, perché il povero Zambuto non era più in grado. Ma io non ne ho avuto neanche per scherzo il coraggio. Dio sa cosa sarebbe accaduto! Per avere Totò con me me lo sono associato, mi sono fatto rila- sciare una sua dichiarazione, per avere anche verso la produzione una carta in mano.
Questo nel '35, già per Darò un milione di Camerini. Ma la produzione non se la sentì. Io feci di tutto, e il soggetto era un bel soggettino, una cosa molto cinematografica, con una buona idea in cui si mescolavano dentro da Frank Capra a Charlot e a Clair e alle comiche e alla mia natura. E anzi avevo proposto a Camerini anche Keaton, ma Camerini non li volle, né l'uno né l'altro. Voleva la commedia senza rischi. Era l'ambiente intorno che preferiva un Totò di un certo genere, e lui, pur rendendosene spesso conto, si lasciava però preferire così. Preso in un'isola deserta, senza le influenze dell'ambiente, capiva tutto, e si sarebbe riusciti a fare certe cose. Ma ci voleva l'isola, le circostanze. E a un certo punto non lo vidi neanche più, perché fu preso nel vortice dei film e degli spettacoli. Quando ci fu la possibilità del San Giovanni Decollato, non osai farlo io, subentrò Palermi, e ci sono in quel film una cosettina o due, si intravedono delle possibilità di Totò che potevano essere sviluppate. Palermi, intendiamoci, era bravissimo, ma nel suo ordine di idee. In un certo senso c'era in me una polemica aperta, sempre, tra il mondo della rivista e il mondo del variété. Io ero sempre dalla parte del variété, e era quello il Totò che preferivo. Restava l'avanspettacolo con attori ancora straordinari: i De Rege, per esempio. Macario era molto mediocre. Camerini era bravissimo, ha fatto due o tre film di una compitezza... commediole equilibratissime, ma tendeva alla commedia, mentre io alla " comica finale " portata in grande.
Per Darò un milione oltre De Sica prese Almirante per fare Blim, si figuri... mentre io vedevo per quella parte un Macario, che valeva dieci Almirante, perché era meno realistico. Taranto mi piaceva, siamo stati molto amici, ma si fermava presto, gli nuoceva una napoletanità un po' scoperta, provinciale. Totò non era provinciale, era un fatto astratto, irripetibile. Ho visto due o tre sketch, che non credo siano raccoglibili neanche nei testi perché erano tutti inventati, a soggetto. Penso al Pazzo... Totò vi camminava come le mosche, quasi sul muro.Totò nel Pazzo faceva cose che solo un pazzo può fare. Si arrampicava su una quinta oltre ogni legge fisica. E nel Timbro inventava ogni volta un modo di timbrare un foglio di carta contro tutti quelli, in crescendo, che glielo volevano impedire. Per esempio il capufficio per sottrarglielo definitivamente si metteva il timbro nel taschino; Totò, con una mossa fulminea, sbatteva il foglio di carta contro la testa del timbro che sporgeva. Gli spettacoli di Galdieri, invece, si salvavano solo con gli inserti fuori copione di Totò. Si ispirava, magari senza scavare, ma era una maschera, con tutte le variazioni possibili di questo suo essere maschera. E "La camera fittata a tre" era un'invenzione da grandissimo comico quella della preghiera nascosta, della preghiera clandestina. Era meraviglioso, Totò. E aveva quelle spalle che venivano tutte dal variété, tutti uomini del vaiété. Toccavano quasi la maniera, ma è la maniera che tocca Charlot coi personaggi che ha intorno. Di una nettezza, una secchezza, una capacità di sintesi sempre. L'essenziale. Inglese, nel Manichino, era bravo e disperato come tutta Napoli. Totò e le sue spalle era eccezionale.
L'umorismo italiano non era poi che nascesse da una pietra improwisamente. C'era nel mondo questo pò pò di fatti,che intanto si chiamavano Charlot, e le comiche anche prima di Charlot con valori inventivi che sono stati o abbandonati o male adoperati o non sviluppati, ma che contengono già i filoni nei quali dobbiamo dire che noi abbiamo più o meno assorbito. E c'era in Italia la grandissima tradizione del variété, che era un terreno di sperimentazione e innovazione continua, mentre nel teatro " ufficiale " c'era la noia dei Novelli... Anche da noi,la collusione varietàletteratura-cinema avrebbero potuto dare molto di più di quello che ha dato,perchè avevano qualcosa di comune su cui lavorare. pensiamo a un Bontempelli e a un Savinio, legati con un loro cordone ombelicale a certe sperimentazioni dello spettacolo, a Petrolini stesso, che si fottè quando si avvicinò al teatro borghese, credendo di diventare più bravo, un errore che fanno quasi tutti.

Filmografia di Totò e Cesare Zavattini

1940 - San Giovanni decollato
1954 - L'oro di Napoli (ep. Il guappo)

Vota il film di Totò

Home  Biografia  Teatro  Cinema  Televisione  Poesie  Canzoni 
Frasi celebri  Fumetti  Fotografie  Totomania  Il baule  Home video 
Totò in TV  News  Ricordi  Interviste  Quiz  Libri  Caricature  Giornali 

www.antoniodecurtis.com