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"Franca Faldini"


[Franca Faldini] [Franca Faldini] [Franca Faldini] [Franca Faldini]

Franca Faldini nasce a Roma il 10 febbraio del 1931 di famiglia ebrea e per questo perseguitata negli anni della adolescenza, entra nella vita di Totò attraverso una sua foto sul giornale "Oggi".La ragazza,che aveva venti anni,viene presentata dal giornale come un'attrice di ritorno da Hollywood dove qualche anno prima aveva vinto un concorso dedicato alle attrici esordienti chiamato Miss Cheesecake(Miss torta di formaggio) che in passato era stato vinto da attrici come Marlene Dietrich e Rita Hayworth.

[Totò e Franca Faldini] [Totò e Franca Faldini] [Totò e Franca Faldini]

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Ma torniamo a Totò appena vide quella foto sul giornale se ne innamorò subito e agì alla sua maniera solita:le mandò un cestino di orchidee accompagnato da un biglietto in cui le chiedeva un appuntamento.

La Faldini acconsentì ad incontrare Totò a patto che fossero presentati da amici comuni.Dopo il primo appuntamento si videro sempre più spesso e tra loro divampò l'amore.Il principe la voleva sempre accanto a sè e la fece avere anche una parte nel film "L'uomo,la bestia e la virtù".Dopo alcuni mesi di fidanzamento il matrimonio fu celebrato con rito civile(il vincolo religioso con Diana non era stato possibile annullarlo) nel 1954 segretamante in Svizzera,il perchè di tanta segretezza lo spiegherà lui stesso in seguito :

"Perchè ho il senso della misura,il senso del ridicolo.Franca e' molto più giovane di me, e io non avrei sopportato i soliti maligni commenti del prossimo.L'attore Totò deve far ridere ,ma l'uomo Totò anzi il principe De Curtis mai.Il principe De Curtis lo sappiamo e' una persona seria."

[Totò e Franca Faldini] [Franca Faldini]

[Totò e Franca Faldini] [Totò e Franca Faldini]

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A onor del vero c'e' pero' da dire che Franca ha sempre smentito che il matrimonio sia avvenuto.

Nell'ottobre del '54 Franca diede alla luce un bambino,Massenzio,che purtroppo morì il giorno stesso in cui era venuto alla luce e Franca colpita da albumina gravidica si salvò per miracolo.Massenzio fu sepolto a Napoli nella cappella gentilizia dei De Curtis.
Per giorni e settimane Totò rimase immobile in casa ,la morte di quel figlio maschio che avrebbe potuto portare il suo cognome lo aveva profondamente prostrato:l'amore per Franca,pallida e smagrita per la malattia,gli diede la forza di continuare a vivere e a lavorare.

Totò e Franca così diversi sia per carattere che per mentalità,avranno molti "scontri" dovuti anche alla differenza di età,staranno anche sul punto di dirsi addio,ma rimarranno sempre insieme,con amore e rispetto reciproco,fino alla morte di lui.
Le ultime parole di Totò quel 15 aprile 1967 saranno proprio per Franca ed in dialetto napoletano:
"T'aggio voluto assai bene Franca.Proprio assai".

[Totò e Franca Faldini] [Totò e Franca Faldini]

[Totò e Franca Faldini] [Totò e Franca Faldini]

L'articolo che segue è tratto da tratto da Vie Nuove aprile 1971:
Per quindici anni sono stata la compagna di Antonio de Curtis, più popolarmente noto come Totò. Abbiamo vissuto l'una accanto all'altro con pulizia, con lealtà, con correttezza, in un modo - non esito a dirlo - molto più coniugale di quello di tante coppie unite da un regolare vincolo civile o religioso, anche se sempre siamo stati consci del limite in cui questa nostra unione di fatto poteva urtare la comune opinione pubblica. Non ci siamo sposati perché forse non potevamo farlo? No, lo potevamo benissimo. Antonio aveva ottenuto il divorzio dalla moglie fino dal lontano 1939 in Ungheria, divorzio che era stato pienamente riconosciuto anche in Italia tanto che allo stato civile Totò risultava celibe e la sua ex consorte era potuta convolare nel 1951, un anno circa prima che io conoscessi lui, a nuove nozze. Personalmente non avevo e non ho ancora contratto matrimonio alcuno. Antonio ed io non ci sposammo perché e soprattutto per via della notevole differenza di età che ci separava, non credevamo in un vincolo di carattere contrattuale. Stavamo bene assieme ed era bello sapere che ci si restava perché entrambi lo desideravamo ma che se un giorno uno dei due avesse voluto interrompere questa consuetudine sarebbe stato padrone di farlo senza l'intervento di giudici, legali e carta bollata. E cosi siamo andati avanti fino al 15 aprile del 1967, data in cui la consuetudine si è interrotta per una volontà superiore ed il mio grande compagno è scomparso da questo mondo che, bello o brutto che sia, è pur sempre seccante lasciare.

Di Antonio, della sua vita, è già stato detto tanto. Una infanzia infelice per il peso di una nascita illegittima che per anni lo amareggiò gravandogli come un marchio nella misera casa del rione Sanità di Napoli dove viveva assieme alla madre popolana e alla nonna. Quelli erano tempi molto diversi dagli odierni e una nascita come la sua veniva guardata col sospetto con cui comunemente si visualizza il peccato, seppure di un peccato di amore si trattava. Gli studi presso l'istituto Cimino, dove certo non brillò per diligenza. Le speranze materne, come spesso accade nelle famiglie povere un po' per ambizione ma soprattutto per risolvere dei problemi di puro carattere economico, di vederlo vestire la tonaca da prete o la divisa della marina italiana. Il servizio militare a Pisa, Mussulmano e Livorno. La passione per il teatro che già lo tarlava. Il matrimonio dei suoi (avvenuto alla morte del nonno paterno, un nobile, che vi ci si opponeva) a cui partecipò da adulto con cuore commosso e spirito di critica amaro. E poi la carriera teatrale, iniziata nella più grande umiltà, con notevoli sacrifici ma con la volontà ferrea di arrivare. Allora non c'erano accademie, scuole di recitazione, actor's studio ecc. Si cominciava dal niente, spesso con il capocomico che spiegava agli attori proprio come nella commedia dell'arte il punto esatto in cui avrebbero dovuto entrare in scena e cosa più o meno quel determinato personaggio doveva simbolizzare e ognuno poi si presentava al proscenio ,e recitava a soggetto. Da questa scuola nacque appunto la facilità con cui Totò inventava di sana pianta sul momento le sue battute, anche quelle più celebri a cui poi la critica attribuiva un tormento di arrovellazioni e di significati.

Ma non sarò certo io a parlarvi del Totò maschera, perché non è mio compito farlo. Spetta a chi di professione fa il critico dire il vuoto, secondo me incolmabile, che la sua scomparsa ha fasciato sulla scena teatrale italiana e quanto fa sua mimica, le sue battute all'apparenza superficiali e in effetti profondissime, la sua comicità metafisica abbiano inciso sul costume italiano nell'arco di tempo che va dagli anni trenta agli anni sessanta. Io posso unicamente aggiungere che Totò è stato un grande artista totalmente sprecato dalla nostra produzione nazionale in pellicole e spettacoli di un valore esclusivamente commerciale ,che assai spesso si salvavano solo grazie a quei pochi minuti di filmato in cui la sua " unghiata da leone " da interprete di razza graffiava, malgrado la sciatteria di un copione messo assieme alla bell'e meglio o la regia piatta di chi guarda soltanto al miraggio di fare cassetta. Totò è morto senza essere neanche riuscito a realizzare quello che per lui era il sogno della sua vita e che forse, se quella volontà superiore non lo avesse di botto chiamato a sé, avrebbe finalmente concretato, magari un po' tardi ma meglio tardi che mai, sotto la guida di un poeta che si è lasciato attrarre dal mondo della celluloide ma che in quel mondo trasferisce la sua grinta da intellettuale: Pier Paolo Pasolini. Questo sogno era quello di interpretare un film totalmente muto la cui comicità, come ai vecchi tempi, fosse comprensibile, senza necessità di traduzione linguistica, agli spettatori di tutto il mondo. E chi meglio di Totò, del " Mimo di Gomma", come veniva definito nelle locandine dei suoi primi spettacoli, avrebbe potuto interpretarlo? Ma il mio compagno - e questa è una teoria mia - ebbe la disgrazia di nascere nel nostro paese, splendida terra di sole che è però un po' lenta nel comprendere l'ingegno dei suoi figli i quali, ed i casi si contano a iosa, sono spesso costretti a espatriare per vedersi realizzati in pieno e poi, soltanto allora, vengono capiti nel loro giusto valore anche in patria.

Comunque, questa era una delle spine di Antonio. Che però era malato di quella che potrebbe definirsi una «italianite acuta ", malattia di cui non si muore ma di cui non si guarisce, che dopo brevi periodi di permanenza in Francia, in Svizzera o in Spagna - gli unici paesi che visitò - lo spingeva, vittima di incurabili attacchi di nostalgia, a riprecipitarsi in Italia. Era rimasto un tipico esponente della generazione di " partono i bastimenti per terre assai luntane". Non prendeva l'aereo - anzi diceva che lui era ancorato a Icaro. Per quanto lo riguardava quei mostri che sfrecciano in aria non erano neppure stati inventati. E quindi le offerte americane gli suonavano come un distacco sconvolgente. Un giorno gli giunse una specie di petizione degli italo-americani dello Stato di New Vork. Erano decine e decine di migliaia di firme. Lo volevario per una serie di recitals nel Nord America. Il suo commento fu: «Né, ma te lo immagini che lo possa andare al di là del mare? ".

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