Mario Mattoli e Totò

tratto da un'intervista di Piero Arlorio 1971

Io sono uno di quei registi trattati male dalla critica. Io non ho inventato Totò, come non ho inventato mai nessuno; ho lavorato tanto ma non ho inventato mai nessuno. Ho diretto sedici film di Totò. Era un formidabile attore, discendente dalla famosa scuola del teatro dell'arte, come dicono tutti quelli che se ne intendono.
Noi, in quel periodo, nel periodo del grande boom di Totò subito dopo la guerra, non facevamo altro che regolamentare un po' questo torrente di comicità che entusiasmava il pubblico dei nostri film. Film che avevano, modestia a parte, una caratteristica: che incassavano molto di più di quello che costavano. Ed erano film che facevano ridere, che sapevano utilizzare Totò.
Le altre caratteristiche? Prima di tutto, avevano uno scopo industriale, erano fatti con pochi mezzi, in pochissimi giorni, girando poche ore nel pomeriggio secondo gli usi di Totò. Naturalmente il risultato non era sempre perfetto. Quando la spalla era buona, quando il testo, pur nella sua ignominia, era meno ignominioso, il risultato era migliore. Quello che però era interessante era questo: la comicità di Totò, alla quale noi registi commerciali « spregevoli» non davamo che un apporto di collaborazione tecnica, era sempre molto onesta, molto buona. La rapidità della realizzazione era aiutata anche da una delle forme assolutamente miracolose di Totò, come del resto di molti grandi attori dialettali, e cioè la sua enorme prontezza nei risultati, perché Totò era bravo immediatamente, alla prima ripresa. Le riprese si ripetevano una volta o due, raramente tre. Mi fanno ridere quelli che fanno quaranta volte la stessa inquadratura... Realizzare un film in venticinque giorni soltanto, dal primo ciak alla proiezione privata dopo il montaggio, sonoro compreso, non è da tutti. Io ero noto per le capacità, diciamo « sportive » nelle realizzazioni, ma con TotÒ sceicco superai me stesso. È chiaro che la cosa mi fu possibile perché il protagonista era Totò, cioè un attore che non aveva bisogno di particolari condizioni per rendere valida una interpretazione, un attore sempre pieno di trovate, di talento puro, di inventiva. Con lui tutto diventava facile e divertente. Dire oggi queste cose, proprio quando la critica cerca di addossare ai registi la colpa della tardiva valorizzazione di Totò, potrebbe essere controproducente. Eppure io sono tutt'altro che dispiaciuto dei risultati che Totò e io raggiungemmo insieme.

Quando Totò è scomparso, hanno chiesto a tanti di ricordare Totò e io dissi: « Totò era una cosa formidabile. Io ho viaggiato il mondo, credo di conoscere tutto, ma in questo momento in tutto il mondo ci saranno venticinquemila attori comici, e ci saranno quattro-cinque veri comici che possono reggere una storia, Cantinflas, uno o due inglesi... e basta. Totò era di quelli rarissimi ». Totò sapeva di valere molto e di fare incassare molto, e allora sperava che il produttore facesse qualsiasi sacrificio per lui. E i produttori niente. Totò aveva questa continua preoccupazione di non essere valorizzato. Ma lui non ne aveva bisogno. In uno dei film suoi, Il turco napoletano, c'era una discesa da una scala con una battuta di una banalità enorme, un'inquadratura che non poteva avere nessun risultato, e lui ci aggiunge improvvisamente, nella ripresa (ed è poi rimasta nel film), parlando di un altro personaggio, la battuta della « lavatura, stiratura ecc. », che era un effetto comico verbale formidabile, in quel punto del film. Di Totò ricordo moltissime cose positive. Il negativo era che non sapeva scegliere tra quelli che lo circondavano, non sapeva distinguere gli adulatori dagli amici veri. Non sapeva resistere all'adulazione, a quella cosa che era difficile da resistere, di quella gente che per mangiargli addosso lo spingeva a fare cose non degne di lui.

Io avevo individuato un tipo di film perfetto. Una volta, uno mi aveva detto: «I film di Totò vanno bene quando nel titolo c'è Totò ». Perché la gente che va al cinema vuole sapere quello che va a vedere. Totò nel titolo era una garanzia. Quelli che volevano fargli fare il cerebrale erano in fin dei conti quelli che lo aiutavano di meno. Totò aveva una cosa tipica del teatro, derivata dal suo tipo di vita anti-igienica (lavoro di sera, cena notturna, pettegolezzi sugli altri attori, a letto tardi, sonno la mattina), e non era attore da esterni, faceva cattiverie atroci in esterni. Mi sono trovato una volta in cima a un monte con tutti i ciclisti più celebri di quel momento (Coppi, Bartali, Magni...) e lui che stava in un albergo non si è alzato e non è venuto, e noi lì ad aspettarlo tutto il giorno. Lui voleva arrivare alle due, non voleva truccarsi, a una certa ora si metteva a fare un fischio tutto suo che voleva dire che era stanco... Non aveva forse la possibilità di poter giudicare la bontà delle cose che proponeva. Molte volte mi sono trovato a dirgli sottovoce: « Totò, per favore, non strisciare i piedi per terra» perché in questo film l'aveva già fatto più volte. E lui se ne aveva a male... Ma aveva ormai una personalità tale di attore comico! Eccezionale in teatro, perché aveva bisogno della rispondenza del pubblico ed è allora che diventava geniale, e allora il regista aveva l'obbligo di farlo figurare perlomeno quasi come a teatro. Io facevo molte inquadrature « a teatrino ». Un giorno mi accorsi che lui rendeva in quanto si montava, grazie alle spalle soprattutto, e allora ho messo tre macchine; facendo una scena due volte di seguito con tre macchine hai un sacco di inquadrature e non costringi l'attore a ripetere. L'attore dialettale quasi mai può ripetere bene una cosa che gli è venuta bene la prima volta.

Dei film di Totò credo che siano piaciuti (grazie anche a certe gag di sceneggiatori) Totò sceicco, Fifa e arena... per questo film ho un rimorso: avevo trovato un finale molto bello, in Spagna, dove avevo cercato materiale di corrida, tra cui una plaza de toros sotto la pioggia. M'era venuta un'idea, quando abbiamo girato in dettagli qui con una specie di vacca invece di un toro furente, tutta legata su un carrello... Il finale previsto da me era che Totò stesse con un ombrello vicino al toro, e mentre trascinavano il toro sotto la pioggia, gli faceva: « Ma chi ce lo fa fare, ma chi te lo fa fare a te di morire per questi quattro disgraziati, ma non pensi come sarebbe bello tornartene ai tuoi campi... » La scena fu girata e venne benissimo, perché io ho notato che molte volte gli animali ricevono una suggestione enorme dall'attore che gli sta vicino, e questa specie di vacca, a queste parole, dette a Totò una grande leccata sulla faccia. Poi invece non piaceva al produttore, che non era una persona intelligente, e lui voleva un finale diverso perché aveva paura che non funzionasse.. .

L'idea della serie scarpettiana di Totò fu di Talarico. Ce la disse nello studio di Ponti: « Perché non fate questo? ». L'idea era ottima, perché i soggetti soliti per Totò, con la trovatina banale, non erano più sufficienti, mentre lì c'era un contenuto, una trama, dei personaggi. Tutte le volte che il teatro ha potuto collaudare una cosa, questa cosa si valorizza enormemente. Tant'è vero che nei film di Totò quelli che sono un po' meno riusciti sono quelli dove l'idea iniziale è un po' troppo banale o troppo elevata. Totò esercitava un certo potere su Libassi, Broggi, questo tipo di produttori, e allora i giornalisti dicevano di lui che era un attore sciupato, rovinato, e lui: « Qui bisogna fare per forza un bel film », e si fece una commedia francese, con attori importanti, e si fece Sua eccellenza si fermò a mangiare, che era una cosa rodata, buona.
È per questo che Scarpetta andava benissimo. Quando si faceva per esempio un Totò Tarzan, non c'era una vera costruzione, c'era solo un'idea, che si logorava velocemente. Miseria e nobiltà è nato in un momento felice. Totò non sempre era dello stesso tipo di sentimenti nei miei confronti. Si irritava con me quando proponeva una cosa che io non mi sentivo, in buona fede, di accettare, perché lui ogni tanto si metteva in testa (non so se era qualcuno della corte che aveva intorno che glielo suggeriva) delle cose costosissime, difficoltosissime, e che io sapevo per esperienza che non avrebbero funzionato. C'era il clan Bragaglia che per esempio gli suggeriva cose in polemica con me... La scena lunghissima degli spaghetti è nata in una giornata di grazia, il merito credo che era suo ma, non lo dico per falsa modestia, anche un po' mio, perché c'erano in quei tempi difficoltà tecniche incredibili. Io avevo fatto per esempio, per via del colore, un « fine del primo tempo » su un pezzettino di un quadro che sale.

L'articolo che segue e' tratto da Totò di Orio Caldiron

Non ho nessun merito nella carriera di Totò, se non quello di aver capito che non doveva continuare a fare il filmetto con la storiellina, ma che bisognava alzare un po' il tono. Totò era un grande attore comico che aveva saputo sfruttare la sua figura, le sue capacìtà innate, ereditarie, affinando insieme l'acquisizione delle gag, dei lazzi, degli ingredienti tipici di un teatro fertile come quello napoletano. Nel mondo non ce ne sono stati tanti come lui. Se si esclude Cantinflas nel Messico, che ha di queste caratteristiche, i comici di solito sono gente che dice la battuta scritta da un altro. Invece,Totò quando fa una scena ci mette dentro qualcosa di suo, qualcosa che non sa neppure lui come gli viene fuori, che è frutto dei suoi rapporti con il teatro dialettale napoletano, dell'enorme esperienza che gli deriva dal teatro e dal contatto con il pubblico. Non sempre era in condizione di giudicare il valore delle cose che faceva: tanto è vero che avrebbe ripetuto fino alla noia determinate cose. In questi casi il regista aveva una funzione molto semplice. Mi avvicinavo e gli dicevo sottovoce: "Per favore, Totò, non strusciare i piedi per terra". Allora si inalberava, diventava cattivo: "perché, non fa ridere?". "Si, fa ridere, ma l'hai già fatto tremila volte, a un certo punto la gente si può stufare". Totò era il classico attore che non deve ripetere troppe volte la stessa scena, gli si doveva dare la possibilità di andare a ruota libera e poi pigliare quello che c'era di meglio, perché ripetere la scena tredici, quattordici, ventisette volte, con Totò era inutile, era quasi sentire meglio la prima. In Totò al giro d'Italia, il soggetto di Metz era abbastanza difficile perché era tutta una storia surrealista di diavoli. Nel film Totò era una specie di "suiveur" dei ciclisti, che c'erano tutti, da Coppi a Bartali, a Bobet, a Magni, stava assieme a questa troupe di ciclisti veri. Ma mentre i ciclisti erano abbastanza disciplinati (a loro piaceva correre presto la mattina), Totò non si alzava perché aveva cercato di stabilire come suo diritto quello di alzarsi tardi. Diceva che l'attore è abituaio ad andare tardi a cena , tardi a letto, e la mattina non può alzarsi presto Durante tutto il film mi sono trovato più volte su una strada, sotto il so1e, con tutta questa gente importante; che guadagnava, che era celebre, con lui che non veniva mai. Facevo chiamare Totò alle nove e mezzo, ma fino a mezzogiorno non scendeva. Mi sono trovato in montagna con questi che bestemmiavano perché dovevano correre, e ancora Totò non arrivava, non capiva che per correre in bicicletta non si può aspettare, non ci si può innervosire.

Filmografia Totò e Mario Mattoli

1947 - I due orfanelli
1948 - Fifa e arena
1948 - Totò al giro d'Italia
1949 - I pompieri di Viggiù
1950 - Totòtarzan
1950 - Totò sceicco
1951 - Totò terzo uomo
1953 - Un turco napoletano

1953 - Il più comico spettacolo del mondo
1954 - Miseria e nobiltà
1954 - Totò cerca pace
1954 - Il medico dei pazzi
1958 - Totò, Peppino e le fanatiche
1960 - Signori si nasce
1960 - Totò,Fabrizi e i giovani d'oggi
1961 - Sua Eccellenza si fermò a mangiare

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